I cunicoli del vecchio acquedotto
ancora praticabili
Tra
illusione e realtà la Livorno sotterranea
Dalle grotte di San Jacopo alla
“settima galleria”
Il
fascino della possibile esistenza di caverne, cunicoli e magazzini, dedali di
corridoi e stanze e cantine che si sviluppano sotto il lastricato che ogni
livornese calpesta quotidianamente ha sempre scatenato supposizioni basate più
sul “sentito dire” che non su documentabili testimonianze. Leggenda vuole che sotto
il Voltone ci fosse l’accesso ad una città alternativa, in antitesi con quella
che ogni giorno ci troviamo sotto gli occhi, con tanto di vicoli, negozi con
relative insegne ed abitazioni immersi in un ambiente buio ed intriso di
umidità e miasmi mefitici. Affascinante il mistero della settima galleria,
attraverso cui si poteva partire dalla Fortezza Nuova, arrivare sul Pontino e
proseguire fino a piazza Rangoni, oggi piazza Garibaldi: il nome di per se
implica l’esistenza di almeno altri sei passaggi potenzialmente utilizzabili (o
utilizzati?) quali rifugi per sfuggire ai bombardamenti dell’ultimo conflitto,
ma di cui non si ha notizia certa.
Nel 1849
qualcuno, rimasto anonimo, raccontò, ne “I misteri di Livorno”, di un locale
posto in un vicolo buio della Venezia Nuova “dove un gentiluomo non può passare
per i fatti suoi nella notte senza pericolo di essere gratuitamente sventrato”.
L’osteria “I tre mori”, era questo il nome del locale, era priva d’insegna
tuttavia si narra di una scala tortuosa in fondo a cui, attraverso tre botole,
si accedeva ad altrettanti locali sotterranei nei quali veniva riposta la
refurtiva, la “busca”, risultato di una giornata di estorsioni e ladrocini: dai
locali sotterranei è facile immaginare vie di fuga che consentissero ai
malviventi di dileguarsi nel buio, magari lungo i fossi, i
galleria di contrammina |
unicolo si addentrava fin sotto la Chiesa raggiungendo una specie
di grotta e da lì altri due locali da cui si dipartivano ulteriori budelli
probabilmente anch’essi utilizzati quali nascondiglio per refurtiva di vario
genere o merci di contrabbando.
Facendo un
passo indietro, l’antico progetto della cinta muraria con fortificazioni alla
moderna, il cosiddetto Pentagono di Buontalenti del tardo XVI secolo, potrebbe
aver previsto una rete di cunicoli che garantissero agevoli vie di fuga ai
Granduchi ed al loro seguito in caso di attacchi selvaggi di popoli invasori
tuttavia non esiste alcun documento negli Archivi Medicei di Toscana, ufficiale
o segreto, che dimostri la fondatezza di una congettura del genere.
galleria di mina |
Qualche
certezza in più ci viene dalla pubblicazione “Livorno sotterranea e dintorni di
sopra” di Riccardo Ciorli e Ugo Canessa, Gli Assaggini del Gufo edizioni del 2004, in cui si parte dall’immagine
di una Livorno fortificata della metà del 1700, quando assumeva particolare
importanza la Porta a Pisa, corrispondente al lato est dell’odierna via Grande,
da dove si raggiungeva la vera e propria Dogana a Terra attraversando un ponte
per metà in muratura e per metà in legno (facile da smantellare in caso di
tentativi d’invasione). Gli spalti di fronte alla fortezza, oltre il fosso
reale, furono soggetti ad uno sviluppo urbanistico selvaggio e per lo più
abusivo. La successiva edificazione del Voltone, nel 1844, resasi
indispensabile dalle impellenti necessità d’ampliamento della città, impose un
nuovo piano stradale ben al di sopra di quello originario,
la cui inevitabile
conseguenza fu di oscurare tutto ciò che di precedentemente costruito se ne
trovava al di sotto.
Dalle
preistoriche grotte nel monte Tignoso (raso al suolo per ricavarne pietrame),
detto anche poggio delle Fate, alle Catacombe di San Jacopo, dai sotterranei
posti sotto la Chiesa di Santa Caterina, in Venezia, ai locali sotterranei
della Chiesa Armena è lecito attendersi di più, anche se, per il momento,
l’esplorazione non si avventura oltre i luoghi recentemente scoperti.
pentagono di Buontalenti |
Che sotto la
Fortezza Nuova si sviluppino cunicoli meritevoli di ben altra visibilità è
testimoniato da tracce di camminamenti che costituivano la cosiddetta Mina, presenti
un po’ in tutti i resti dei bastioni che originariamente costituivano la cinta
muraria. All’interno di detti cunicoli sarebbero state accatastate polveri da
sparo e micce che avrebbero consentito all’eroe di turno d’immolarsi facendo
saltare le mura e gli eventuali invasori intenti a scavalcarle. E allora,
perché non cedere alla tentazione di cercare le fondamenta del Bastione di San
Francesco e magari il gruzzolo di monete d’oro seppellito, a scopo
propiziatorio, laddove gli storici ritengono sia stata posta la prima pietra
della nostra beneamata città nel lontano 1577?
Meno nobile e
per ben altro intento realizzata, la fitta rete
di collegamenti delle cantine
tra loro è ben più concretamente credibile: i locali posti alla base dei
palazzotti signorili, disseminati un po’ dappertutto nel centro cittadino, erano
l’anima del fiorente commercio nel porto di Livorno tuttavia è lecito supporre
che, tanto più ci si allontanava dalle zone più frequentate, quanto più si favoriva
il prolificare d’illeciti commerci quali la ricettazione o il contrabbando. Un
curioso episodio di qualche tempo fa è la conferma di quanto ci sia da scoprire
nei sotterranei di Livorno: durante lavori di restauro nella zona del Pontino,
all’abbattimento di una parete di una cantina fu rinvenuta la ferrea ossatura
di un camioncino modello Tigrotto della OM. L’eccezionalità del ritrovamento
stuzzicò la curiosità degli addetti ai lavori che tuttavia, vista l’assenza di
collegamenti carrabili lì attorno, non riuscirono a capire come il mezzo avesse
potuto raggiungere il suo ultimo e definitivo ricovero. Sta di fatto che, per
bonificare la cantina, gli operai furono costretti a tagliare a pezzi la
carcassa a colpi di fiamma ossidrica.
Le condotte
dell’antico acquedotto del Salvetti, la cui opera è stata completata
dall’architetto Pasquale Poccianti, rimangono dunque l’unica testimonianza
tangibile di camminamenti sotterranei: a partire dal Cisternone, detto la Gran
Conserva, essi si estendono a raggiera e possono essere agevolmente percorsi
per raggiungere varie zone della città, pur da un individuo di corporatura non
troppo ingombrante. La costruzione delle condotte prevedeva, per questioni
puramente fisiche, il rispetto di pendenze che, all’epoca in cui non esistevano
pompe, consentissero la distribuzione uniforme del prezioso bene: inevitabile,
quindi, il riempimento delle zone interessate e la conseguente sepoltura delle
strutture preesistenti, magari proprio le fantomatiche botteghe, viuzze, vicoli
e magazzini oltre il Voltone.
Ermanno
Volterrani, 27.06.2008